Okinoshima, l'isola vietata alle donne

Okinoshima è un’isola poco conosciuta che sicuramente scatena ire da parte dei gruppi femministi. Non perché i residenti ospitino troppi concorsi di bellezza, ma perché ad uso esclusivo degli uomini. E’ immersa nella tradizione religiosa shinto e, a causa di una superstizione molto temuta, è una terra considerata off limits per le donne. Fa parte della città di Munakata,  nell’estremità sudoccidentale dell’arcipelago giapponese, tra Hiroshima e Nagasaki..


 


Okinoshima, che fa parte della città di Munakata ed è considerata terra sacra, seppure sia dedicata ad una delle tre figlie del Dio Amaterasu, la Dea Tagorihime, non può infatti ospitare donne, giudicate impure – a causa del ciclo mestruale – dalla religione shintoista. Il territorio è venerato come una divinità e, secondo la credenza locale, la presenza femminile lo “contaminerebbe” rendendolo “impuro”.

Gli unici turisti ammessi sono esponenti del sesso maschile, che devono attenersi a regole ben precise: visita all’isola, in numero massimo di 200, una sola volta l’anno, il 27 maggio, con un rituale di purificazione ben preciso e che prevede che debbano denudarsi non appena toccate le sponde. Non solo, è anche previsto il divieto assoluto di raccontare i particolari del viaggio e di portare via oggetti. Secondo i locali, tale pratica servirebbe a placare le anime dei soldati russi e giapponesi morti in battaglia, a inizio Novecento, in prossimità dell’isola.

Okinoshima, vero e proprio paradiso a cielo aperto e terra ricca di opere artistiche e storiche di grandissimo valore, nonostante la nomina a sito Unesco continuerà a mantenere invariate le proprie tradizioni. Già lo scorso anno Takayuki Ashizu, alto prelato al Makunata Taisha, aveva preannunciato che il bando sul turismo sarebbe rimasto in vigore in ogni caso: “Non apriremo Okinoshima al pubblico, perché le persone non devono visitarla solo per curiosità”.




I misteri di Koh Tao, l'isola della morte.

L’ultimo caso sospetto è quello della trentenne belga Elise Dallemagne, morta a fine aprile e ritrovata impiccata nella foresta con il corpo sfigurato dai varani.


Gli ultimi istanti di vita di Elise Dellemagne sono tutti in questo fotogramma, una ragazza zaino in spalla che si aggira per l’isola thailandese di Koh Tao, “l’isola della morte“. Il suo corpo ritrovato il 27 aprile nella giungla, divorato dalle lucertole. A rilasciare il fermo immagine la polizia thailandese. Elise cammina a pochi metri da dove è stato ritrovato il cadavere.


 


La polizia conferma che quell’immagine è l’ultimo fotogramma che ritrae Elise in vita a pochi metri dal luogo dove subito dopo verrà ritrovata impiccata. Ma la sua morte oscura riaccende i riflettori sui misteri di Koh Tao, la splendida isola ambita meta turistica per le sue spiagge dorate e i fondali da sogno. Ventuno chilometri quadrati si paradiso tropicale nel Golfo di Thailandia che, ormai, stanno però diventando famosi per le morti misteriose di turisti: dal 2014 sette occidentali, tutti meno che trentenni, sono morti qui in circostanze misteriose. Al punto che i tabloid inglesi – cinque delle sette vittime erano britanniche – hanno soprannominato Koh Tao «death island»: l’isola della morte.


 


Il doppio omicidio del settembre 2014, quando gli inglesi Hannah Witheridge e David Miller furono massacrati di notte sul bagnasciuga, è l’unico delitto «ufficiale».


La «maledizione di Koh Tao» non si è però esaurita lì. Nel gennaio 2014, il corpo dell’inglese Nick Pearson fu recuperato in mare. Un anno dopo, il francese Dimitri Povse venne ritrovato impiccato, e la giovane inglese Christina Annesley morì per un mix di alcol e antibiotici. Nel 2016, il britannico Luke Miller annegò in piscina. E dallo scorso febbraio si sono perse le tracce di una turista russa. Tutto ciò in un contesto molto complesso: indagini poco chiare e versioni della polizia altamente ambigue. L’annegato Pearson? Caduto dagli scogli, anche se il cadavere non aveva fratture. L’impiccato Povse? Suicidio, nonostante avesse le mani legate. È noto che potenti clan locali protetti da influenti politici vicini all’attuale giunta militare controllano l’isola, con la connivenza della polizia.